IL PERDONO: QUATTRO PILASTRI PER UNA RELAZIONE DÌ COPPIA SANA
Il perdono guarisce,
il perdono rende capaci di amare e di crescere,
il perdono riconcilia con gli altri,
il perdono cura lo spirito e il corpo.
Il perdono è sorgente di guarigione, guarisce infatti le ferite provocate dal risentimento, rinnova le persone, i matrimoni, le famiglie, le comunità, la vita sociale.
Il perdono è la chiave dei nostri rapporti col prossimo e con noi stessi.
Il perdono è una necessità: non possiamo fare a meno di perdonare. Se non perdono non posso essere perdonato!
Il perdono è una decisione: non è un sentimento, ma un atto della nostra volontà. Decido di perdonare anche se non me la sento.
È la scelta di amare gli altri così come sono.
Il perdono è un processo, cioè una continua crescita verso la libertà interiore. Non dimentichiamo che alcune esperienze sono così dolorose da richiedere molto tempo trascorso nel perdono. Chiunque sia stato vittima di qualcosa si trova prima o poi chiedersi se concedere o meno il perdono. Il perdono infatti è un mezzo attraverso il quale una persona, offesa da un torto subito, cessa di provare risentimento e ostilità verso un'altra persona, che ha perpetrato il torto.
Può concesso come atto di bontà, empatia, altruismo, oppure, pragmaticamente, perché il fine di vivere meglio giustifica il mezzo del perdono. Perdonare infatti molto spesso produce una sensazione di sollievo, annullando quella tensione e quel legame esclusivo che lega vittima e offensore e che li rende parte separata del contesto sociale. Il perdono può essere concesso anche se non è stato richiesto e può riguardare anche persone che non si incontrano più nella propria vita, anche perché potrebbero essere decedute. Sono state le religioni ad insegnare per prime la pratica del perdono, sull‟esempio del perdono che Dio (o chi per lui) riserva agli esseri umani. Ma ci sono state anche molte voci contrarie.
Friederich Nietzsche era contrario al perdono, ma soprattutto era contrario alla morale cristiana, che riteneva essere la "morale degli schiavi". Per il filosofo, chi perdona è un debole, è un incapace di far valere i propri diritti; la bontà è solo la dimostrazione della incapacità di ribellarsi, di rivalersi; la pazienza è codardia ed il perdono è l‟incapacità di vendicarsi. Freud stesso aveva affrontato l‟argomento, mostrandosi anch‟egli contrario al perdono. Lo riteneva infatti una pretesa assurda e incomprensibile, dannosa per la salute psichica dell‟individuo, perché avrebbe fatto toccare il limite di sopportazione dell‟Io rispetto alle pressioni pulsionali interne, producendo o una rivolta o la nevrosi . Perdonare, secondo il padre della psicoanalisi, può aver senso solo in due casi: come prova di sottomissione alla legge del più forte, in modo da lenire la sua aggressività, o come accettazione del predominio del SuperIo, per ricavarne una soddisfazione narcisistica nel ritenersi superiori agli altri. Noi, personalmente e nel nostro piccolo, non siamo d’accordo!!
CHIEDERE SCUSA E PERDONARE Oggi la moderna psicologia ha cominciato ad interessarsi del perdono perché si è visto che… Nella pratica clinica, una terapia riuscita spesso porta il paziente a perdonare le offese ricevute. Questo atto, producendo una diminuzione di amarezza e risentimento, ha un effetto catartico, di liberazione, perché è capace di eliminare o attenuare i sentimenti di rabbia, di vendetta, di vergogna e di risentimento, liberando delle energie, che possono essere dunque meglio spese su altri fronti.
Ma il perdono richiede tempo: può avvenire solo dopo che vi sia stato una rielaborazione mentale dell'offesa o del torto subito, che permetta di placare , la rabbia, il desiderio di vendetta o di punizione di chi ha inflitto il tutto. Perché ci sia vero perdono devono essere coinvolti tutti i sistemi: cognitivo, emotivo e comportamentale. Dal punto di vista cognitivo ed emotivo, il perdono richiede tempo: infatti può avvenire solo dopo che vi sia stato un processo mentale capace di far tacere il risentimento, la rabbia, il desiderio di vendetta o di punizione della persona che ha perpetrato l‟offesa. Il gesto del perdono è solo l‟ultimo atto che riguarda questo lungo processo. Il perdono richiede dunque un grande sforzo, emotivo ed intellettuale e non dovrebbe dunque essere confuso con la timidezza o la debolezza morale.
Chi perdona non è chi non vuole assumersi la responsabilità di punire, correggere, vendicare, non è chi vuole necessariamente chiudere un occhio sulla realtà che lo fa soffrire, lasciando correre e guardando oltre: perdonare non significa cercare di dimenticare l‟offesa ricevuta, ma solo fare in modo che essa, pur permanendosi nel ricordo, non provochi più dolore. La dimenticanza infatti non equivale al perdono.
Il perdono implica la propria liberazione da un nemico interno, costituito dall‟odio. L’odio, come l‟amore, è un sentimento molto forte, che può legare indissolubilmente ad una persona e che dunque fa si che l‟offensore sia sempre nei pensieri dell‟offeso, nei suoi ricordi, nei suoi progetti. L’odio crea una dipendenza. Per questo, dal punto di vista psicologico, il perdono viene considerato un valido strumento terapeutico: permette di lenire la sofferenza, di riguadagnare la fiducia in sé stessi, e spesso di ristabilire relazioni interrotte fra due persone, attraverso una rinegoziazione delle regole del rapporto.
SAPERE QUANDO CEDERE Il perdono tuttavia non implica la riconciliazione: vi possono essere valide ragioni per scegliere di non vedere più il proprio offensore (che tra l‟altro potrebbe anche non essere più in vita), sebbene si sia concesso il perdono. Al contrario, non può esservi una vera riconciliazione senza perdono. Dal punto di vista etimologico perdonare significa concedere un dono: è così in tutte le lingue, dall‟inglese "forgive‟ al francese "pardonner‟ ed al tedesco "vergeben‟.
Non sono molte le persone predisposte all‟atto di donare, ed anche se dal punto di vista etico o religioso si può essere d‟accordo sul principio, metterlo in pratica è tutt‟altra cosa. Un atto offensivo subito ingiustamente del resto suscita nella vittima una sofferenza psicologica, che si esprime poi in reazioni di tipo aggressivo, etero o auto-dirette. L‟aggressività nei confronti dell‟offensore può esprimersi nella rabbia, nel desiderio di vendetta o di punizione dell‟altro, mentre l‟autoaggressività la si riscontra nei sensi di insicurezza di sé e di vergogna per l‟umiliazione subita, nelle costanti ruminazioni del pensiero relative al ricordo dell‟offesa.
Il desiderio di giustizia potrebbe essere una razionalizzazione, un modo per canalizzare le proprie emozioni verso consolazioni più socialmente accettate, ma esso non implica automaticamente il perdono. Per perdonare occorre sapersi spogliare dei propri panni e sapersi mettere in quelli dell‟offensore, cercando di vivere e reinterpretare la realtà guardandola da un‟altra prospettiva, giustificando e comprendendo quelle che possono essere state le motivazioni o le pulsioni delle quali possa essere stato, a sua volta, vittima chi ha offeso.
Il processo del perdono richiede meno sforzi affettivi e cognitivi se l’offesa non è grave, se non è intenzionale, se l’offensore mostra rammarico e chiede scusa.
Quando si riceve un‟offesa per prima cosa si sperimenta uno stato generale di smarrimento, di perdita momentanea dell‟equilibrio, anche a causa dell‟effetto-sorpresa e della mancanza di adeguate strategie difensive. Questo è ancor più vero quando fra vittima e offensore c‟è un legame profondo di affetto o di amore, come può avvenire fra parenti, coniugi, amici o affini.
Dal momento in cui si riceve l‟offesa viene messo in crisi tutto un sistema di attribuzioni e di aspettative riguardo ad una certa persona, il tutto abbinato ad emozioni fortemente negative e distruttive, difficili da contenere, come accade quando si sperimentano dolore, rabbia, delusione, depressione, vergogna. La vergogna soprattutto è ciò che influisce particolarmente nella stima di sé stessi: "come ho fatto a lasciarmi ingannare dalla persona che amo‟? "Come ho fatto ad essere così debole e stupido di fronte agli inganni del mio amico‟?
A volte si reagisce cercando di colmare tutti i vuoti di attenzione che si ritiene di aver avuto nei confronti della persona che ha offeso. Questa ricerca e considerazione ossessiva dei dettagli che hanno reso possibile l‟offesa può portare ad accrescere ulteriormente la diffidenza ed il sospetto verso l’altro, rinforzando i pensieri negativi e rimuginativi. Del resto, cercare di comprendere è sicuramente necessario, anche per considerare in senso empatico i fattori esterni che possono aver contribuito a creare le condizioni del gesto offensivo, valutando anche eventuali possibili responsabilità nell‟aver determinato nell‟altro la volontà offensiva. Pur nella asimmetria delle responsabilità, spesso il rendersi conto che in una relazione tutti possono fare errori, avere colpe o essere causa di mancanze, può essere un fattore facilitante nella comunicazione.
ASSUMERSI LE PROPRIE RESPONSABILITA'
Approfondiamo la dinamica dell'odio che è sottesa al non perdonare. L'odio può essere un sentimento che lega per sempre. Il filosofo Cioran era del parere che se non vogliamo più dimenticare una persona dobbiamo arrivare ad odiarla. Nello stesso modo l'odio mantiene sempre vivo l'offensore e le sue azioni nella mente dell'offeso. Tutto questo crea dipendenza. Nella stessa dipendenza affettiva l'odio è l'altra faccia della medaglia.
Per perdonare bisogna guardare la realtà dal punto di vista dell'offensore, comprendendo quelle che possono essere state le motivazioni o le pulsioni delle quali possa essere stato, a sua volta, vittima chi ha offeso.
Bisogna anche riconoscere eventuali propri errori che possono aver contribuito alla genesi dell'offesa o del torto. Questo insieme di considerazioni può agevolare la concessione del perdono. Ammettere i propri errori, se ce ne sono, può facilitare infatti l‟ammissione del torto da parte dell‟offensore e permettere all‟offeso una meno traumatica concessione del perdono. Sicuramente questo è un buon punto di partenza per reimpostare la relazione su basi più solide, che prevedano un codice di maggiore rispetto reciproco.
Chi non sa perdonare spezza il ponte sul quale egli stesso dovrà passare.
Perdonare è liberare un prigioniero e scoprire che quel prigioniero eri tu.
Al di là della concessione del perdono come gesto di bontà, empatia, altruismo, c'è anche un utilizzo pragmatico perdonare, a scopo personale. Perdonare infatti, spesso produce sollievo, eliminando la relazione d'odio che lega vittima e carnefice e che danneggia sopratutto la vittima. In questo caso Il perdono può essere concesso sia ai vivi che morti, e nel caso dei vivi indipendentemente da una loro più o meno esplicita richiesta. Inoltre il perdono può essere parziale (il più delle volte) totale (accade raramente) e può riguardare sia la persona che ha offeso o agito il torto che l'azione dell'offesa o del torto.
Ma anche se fossimo così bravi ad attuare tutto il percorso del perdono, questo non impedisce che la rabbia relativa all'offesa o al torto subito scompaia per sempre. Potrebbe continuare ad albergare dentro di noi e dare segni di vita in determinate circostanze che possono riattivare il rimosso. Ma tali riattivazioni non avranno mai l'impatto doloroso ante-perdono.
Perdonare, quindi, come gesto di amore per sè stessi, per perdonare anche sè stessi di aver permesso all'altro di farci del male. Non dimentichiamo che gli altri ci trattano come noi li permettiamo di trattarci. In questo senso l'offesa ed il relativo perdono possono rappresentare un occasione di crescita personale perchè quello che è accaduto non si verifichi più.
La vendetta potrà anche essere dolce, ma il perdono alla lunga è molto meglio. Se ne sta accorgendo anche la scienza, che dedica sempre più studi ai benefici psicologici e fisici che si innescano quando si smette di provare risentimento, rancore, rabbia, sostituendoli invece con sentimenti positivi. Perdonare, arrivando ad augurarsi il bene di chi ci ha fatto soffrire, si traduce in un calo della pressione, minori sintomi depressivi e un senso di benessere generale. Un balsamo non solo per l'anima, quindi, ma anche per il corpo. Ne è convinto uno dei guru della nuova "scienza del perdono", lo psicologo Robert D. Enright dell'Università del Wisconsin, ma la tendenza è in atto già da una decina d'anni, durante i quali - riferisce il Los Angeles Times - i ricercatori hanno ammassato una discreta mole di dati sugli effetti terapeutici di quella che finora è stata considerata più che altro come una virtù insegnata dalla religione o tutt'al più un arte per pochi eletti.
FORGIARE UN LEGAME
Proprio come correre o giocare a tennis, il perdono è qualcosa che si può imparare allenandosi: ci sono corsi specifici, in cui si comincia a stare meglio anche dopo poche sedute. Pioniera in questo campo è stata l'équipe dello psicologo Loren Toussaint della Luther University di Decorah, in Iowa, che per prima ha stabilito un nesso fra la salute e la propensione al perdono. Uno loro studio nazionale, pubblicato nel 2001 sul Journal of Adult Development , mostrava che solo il 52 per cento degli americani dicevano di essere riusciti a perdonare chi aveva fatto loro del male. Ma fra questi, quelli che avevano 45 anni o più, godevano di miglior salute rispetto agli altri che non erano riusciti a perdonare.
Gli scatti d'ira aumentano il rischio di aritmie, attacchi cardiaci e causano un aumento della pressione sanguigna, spiega al Los Angeles Times il dottor Douglas Russell, cardiologo, che in uno studio del 2003 ha documentato come dopo sole 10 ore di "corso di perdono" le funzionalità coronariche dei pazienti già migliorassero. Il campo è in evoluzione ed ha suscitato molto entusiasmo, ma anche alcune critiche, l'insistenza sul superamento felice del trauma ad ogni costo non convince tutti.
In alcuni casi, dove i trauma è davvero molto forte (come per esempio le vittime di violenze sessuali o peggio ancora di incesto), non è necessario arrivare fino al perdono, che per la persona potrebbe essere davvero impossibile. In questi casi la sola accettazione ed il non sentirsi “in colpa”, può essere sufficiente alla guarigione.
Qualcuno fa anche notare che se il perdono arriva troppo facilmente, potrebbe nascondere ben altro, come un senso di colpa che porta la vittima ad assolvere gli altri prendendo su di sé la responsabilità di una violenza: atteggiamento tutt'altro che terapeutico.