Introduzione
Il dottor Antonio Morsiani è stato un grandissimo cinofilo e uno studioso di tutte le razze canine, nonché il più grande allevatore di sambernardo per il soccorso in Italia; tanto che anche nella descrizione che fa del Mastiff vedrete trasparire il suo amore per il cane con la botticella, attraverso i continui raffronti che opera fra i due molossi. Oltre che per la qualità della prosa e per l’indiscutibile valore scientifico dell’articolo, a un tempo rigoroso e divulgativo, la nostra citazione vuole essere un omaggio alla memoria di un grande conoscitore e amante dei cani. L’Antica Mola si rende comunque disponibile in ogni momento verso chi avesse a reclamare diritti d’autore sul pezzo.
La storia e il presente del Mastiff (articolo del dottor Antonio Morsiani) «Era un cane, un cane enorme, nero come la pece; ma non un cane che occhi mortali potessero avere mai veduto. Mai, neppure nei sogni allucinanti di un cervello impazzito sarebbe stato possibile concepire qualcosa di più spaventoso, di più ossessionante, di più infernale di quella forma scura, di quell’apparizione selvaggia che ci comparve improvvisamente dinanzi, fuori dal muro di nebbia…». (da «Sherlock Holmes: il Mastino dei Baskerville» di Sir Arthur Conan Doyle) Se possiamo ancora oggi scrivere del vecchio mastino inglese come di una razza non estinta lo dobbiamo ad una signora londinese di nome Nora Dickin. Se non ci fosse stata questa donna straordinaria oggi discuteremmo del cane nazionale inglese solo da un punto di vista storico, come facciamo con altri molossoidi non più esistenti quali il polacco-prussiano «Danzigher», il belga-tedesco «Bullenbeisser», lo spagnolo «Perro da presa» ed altri. Può sembrare paradossale ma la storia vera del mastino inglese comincia poco più di quarant’anni fa quando, all’inizio del secondo dopoguerra, un censimento effettuato dall’Old English Mastiff Club dimostrò drammaticamente che la razza, nel paese d’origine, era praticamente estinta. Per la verità, a quell’epoca, una ventina di soggetti vivevano ancora, ma la maggior parte erano vecchi e non più in grado di procreare. Cosa era accaduto? La guerra aveva falcidiato completamente la razza e soltanto una femmina era rimasta in condizione di produrre. La situazione era così critica che richiedeva drastiche misure ad evitare che il più antico cane inglese; dopo il bulldog, si estinguesse. La signora Dickin, allora segretaria del club, affrontò il problema con grande energia. Ella propose di visitare l’America per reperire alcuni maschi in grado di coprire quella femmina e acquistare possibilmente anche alcune cagne, impresa peraltro disperata perché anche in Canada, come negli Stati Uniti, i mastiff erano pressoché scomparsi. In una riunione del consiglio direttivo del club inglese, tenutasi nel 1948, fu destinato un fondo allo scopo di comprare cani. Tale fondo fu conseguito col pagamento di un minimo di 10 sterline per socio. La ricerca ottenne un positivo risultato perché, nell’assemblea generale annuale del 1949, i signori Mellish, di Victoria (Canada), furono pubblicamente ringraziati per avere spedito al club due mastiff, maschio e femmina, senza richiederne il pagamento. Unica riserva poter avere due cuccioli per il futuro. Alla fine di quell’anno i mastini di proprietà del club consistevano di sei femmine e tre maschi adulti e di sei cuccioli, oltre ad una cagna di otto mesi che si trovava in quarantena. Il cinologo inglese Croxton Smith scrisse poco dopo: «per merito della signora Nora Dickin il club del vecchio mastino è riuscito a superare la sua massima crisi e i ringraziamenti per lei non saranno mai sufficientemente grandi. Io considero i mastiff un tesoro nazionale in quanto rappresentano la più antica razza britannica, dato che era già in quest’isola prima che Giulio Cesare vi facesse visita». Per la verità tutta la storia del mastino inglese è contrassegnata da crisi di sopravvivenza come è accaduto per altre razze similari quali il dogue de Bordeaux e il già citato Perro da presa spagnolo. Vale la pena di dare un rapido sguardo a questa storia. La più accreditata ipotesi sull’origine del mastiff è quella che lo vorrebbe discendente (attraverso il mastino assiro-babilonese pesante, che ha come antenato il mastino tibetano gigante, oggi estinto) del «canis familiaris inostranzewi», già presente in Asia e nell’Europa settentrionale durante l’età del bronzo. La stessa origine, secondo questa ipotesi sostenuta dallo Struder, avrebbe anche il sambernardo. Il «canis familiaris inostranzewi» deriverebbe a sua volta dal Tomarctus, il predatore dalle zampe corte vissuto da 10 a 15 milioni di anni fa. Sempre secondo lo Studer fin dai più remoti tempi l’uomo cercò di ottenere cani di massima taglia che per mole o forza dei mascellari fossero in grado di combattere contro nemici e grossi animali. Questi cani erano in genere dei brachignati (a muso corto) nei quali la pelle della faccia non si era raccorciata come lo scheletro e formava quindi delle pieghe più o meno rilevate. Lo Studer sostiene che in tali soggetti i mascellari, divenuti più corti che negli altri cani, erano anche spessorialmente più massicci per adattarsi ad una dentatura enormemente sviluppata. A loro volta i muscoli masticatori, divenuti potentissimi, ebbero punti di attacco molto ampliati rispetto alla norma (cresta sagittale esterna, docce ossee per le inserzioni muscolari e arcate zigomatiche). Mi permetto di aggiungere allo Studer che in cani di questo tipo la mandibola così raccorciata diviene ricurva ed il suo corpo rimonta in alto in modo da avere una morsa più efficace; infatti i mascellari sono simili a una pinza chirurgica, cioè ad una leva di terzo grado avente il fulcro nell’articolazione temporo-mandibolare, il punto di presa (o di resistenza) nella parte anteriore delle mascelle fra incisivi e canini e la potenza in una zona intermedia fra il punto di presa e il fulcro. Quando il corpo della mandibola è corto e per di più ricurvo e rimontante, la leva non solo diventa più potente, ma più efficace, perché il punto di potenza, a differenza dei cani a muso lungo, si avvicina di più al punto di resistenza, cioè di presa. In questi cani il muscolo massetere, che trae origine dall’arcata zigomatica e termina sulla branca mandibolare (nella fossa masseterina e nell’angolo della mandibola), è estremamente massiccio e di grande spessore come peraltro il muscolo temporale che si inserisce sulla cresta sagittale esterna e , riempiendo di sé la fossa omonima, termina sulle branche mandibolari. La tipologia sopra descritta è propria di tutti i grandi mastini, dal sambernardo (che però ha le bozze frontali in particolare rilievo per ragioni legate alla sua funzione teleolfattiva) al mastiff, al mastino napoletano, al dogue de Bordeaux, al bullmastiff e al terranova. Il bulldog invece, quale forma teratologia, ha una cresta sagittale pochissimo sviluppata. Circa la presenza del mastiff in Inghilterra molte sono le ipotesi. Secondo la più diffusa e suggestiva quando le truppe di Cesare nel 56 a.C. invasero le isole britanniche, si trovarono di fronte due tipi di cane. Un primo tipo era basso, supertarchiato, con testa sproporzionata al corpo, mascellari raccorciati e potentissimi che azzannarono ai polpacci i legionari provocando non pochi danni. Questi cani, presumibili antenati dei bulldog, sarebbero stati di origine celtica, e quindi presenti in Inghilterra da secoli e secoli. Un secondo tipo di cane, che diede ancora più disturbo alle legioni romane, era costituito da soggetti di inusitata grandezza, in tutto simili ai mastini assiro-babilonesi pesanti, e quindi dotati di forza straordinaria. Di questi mastini assiri pesanti (antenati del mastiff come del sambernardo) abbiamo un’efficace rappresentazione in un coccio di situla votiva trovato in Birs Nimrud (Ninive) e conservato al British Museum di Londra. Riproduce un grande molossoide da combattimento a pelo corto tenuto da un conduttore. Il cane, di statura gigantesca e di proporzioni erculee, è difeso da una corazza di cuoio e da una maschera di sembianza leonina per incutere terrore. A supporto della tesi sopra riportata vi sono gli scritti di Gratius Falsicus, nella sua opera intitolata «Cinegetica». Secondo Gratius Falsicus i cani inglesi denominati poi «pugnaces» erano assolutamente superiori ai cani romani (in genere molossi dell’Epiro) che le falangi avevano condotto con sé nella conquista della Gran Bretagna. I Romani rimasero affascinati dai giganteschi cani inglesi e, terminata la conquista delle isole britanniche, li portarono a Roma per utilizzarli nelle arene in combattimenti contro bestie feroci. Ma i Romani introdussero al di là della Manica anche leoni, orsi e leopardi, per opporli, anche in madrepatria, ai possenti mastini negli spettacoli circensi che, più o meno modificati, si sono protratti in Inghilterra fino all’ottocento. Tre secoli dopo Cristo, Oppiano di Apamea così descrive i «pugnaces britannici»: «grandissima taglia, corpo pesante e muscoloso, testa grossa, muso corto con buon labbro». Come si vede sono le caratteristiche proprie dei mastiff, peraltro mostrate nelle ceramiche romano-britanniche (50 a.C.) in rappresentazioni di caccia alla grossa selvaggina. Secondo la già citata ipotesi, i mastiff sarebbero stati introdotti nelle isole britanniche dai mercanti fenici probabilmente 5/6000 anni prima dell’invasione romana. I Fenici avevano rapporti commerciali sia con gli Assiri che con le popolazioni inglesi. Una seconda teoria afferma che un cane del tutto simile all’attuale mastiff sarebbe esistito nelle isole britanniche, portatovi all’epoca delle migrazioni celtiche, fra i 2000 ed i 1700 anni prima di Cristo. I Celti, che provenivano da un’area situata nell’Europa centrale fra Reno e Danubio, prima delle loro migrazioni intrattenevano rapporti coi popoli orientali. Quindi, questa ipotesi “celtica”, avvalorerebbe, come la prima, l’origine asiatica del mastiff. Secondo una terza ipotesi il mastiff sarebbe un discendente del molosso greco-romano introdotto in Inghilterra dai Romani stessi, e i cani britannici incontrati dalle legioni sarebbero stati soltanto gli antenati degli attuali bulldog, cioè di taglia assai più ridotta. Anche questa ipotesi non esclude, attraverso il molosso romano, l’origine asiatica del mastiff. Data la grande somiglianza del mastiff col molosso assiro, gli studiosi propendono comunque per la prima ipotesi. Dopo lo caduta dell’Impero Romano il mastiff fu usato per la guardia e la protezione delle corti. Il nome «band dog» (cane da catena), che in seguito gli venne dato, trae origine da questo suo impiego. Sotto il re normanno Knud il Grande (995-1035) il mastiff venne citato nelle leggi forestali, secondo le quali ogni centro abitato doveva essere munito di un mastino per salvaguardare uomini e bestiame dall’attacco dei lupi e di altri animali da rapina. Ancora sotto Enrico III d’Inghilterra e Duca d’Aquitania (1207-1272) i mastiff, che erano tenuti nelle vicinanze delle foreste reali ricche di cacciagione, dovevano per legge essere mutilati di tre dita del piede anteriore affinché fossero incapaci di aggredire la selvaggina. Dopo la conquista normanna della Britannia, la lingua di nobili, giuristi e letterati divenne il francese arcaico e il «cane da catena», cioè il «band dog» fu chiamato «mastin». Dal 1300 in poi nelle leggi forestali e nelle narrazioni di caccia il «band dog», poi divenuto «mastin», passò alla voce anglicizzata di «mastiff», ma anche di «mestiff», «masty», «masty-hound» ed anche «maystiff»; comunque in alcune contee inglesi perdurò fino al rinascimento il nome di «band dog» o di «alaunt». Alla fine del Medioevo la guerra dei Cent’anni fu determinante non solo per la storia europea ma anche per la storia del mastiff. Molti storici raccontarono le vicende di Sir Peer Legh il quale, gravemente ferito nella battaglia di Azincourt (vicino a Parigi), fu protetto e difeso per giorni dalla sua cagna mastiff e dovette esclusivamente ad essa la sua salvezza. La famiglia di Sir Peer, per riconoscenza, allevò tutti i discendenti di quella cagna. I più antichi alberi genealogici del mastiff hanno infatti la mastina di Azincourt come capostipite. Circa cento anni più tardi della battaglia di Azincourt (cioè nel 1515), la famiglia Legh fece edificare il castello di Lymehall che diede il nome ad una stirpe di mastiff protrattasi fino a tutto il secolo scorso. Il castello di Lymehall è oggi un museo che riunisce un’amplissima ed unica raccolta di opere d’arte, sculture, quadri, disegni e fotografie che riguardano solamente il mastiff. Questa raccolta fu integrata dalla signora Maria Antoinette Moore, una ricchissima allevatrice e giudice di mastiff americana, autrice fra l’altro di un bel libro sulla razza. Successivamente all’allevamento di Lynehall (che è il più antico), sorsero anche altri importanti ceppi, come quello di Chatsworts del Duca di Devonshire e quello del castello di Elvaston di Lord Harrington. In breve il mastiff divenne il pupillo dello nobiltà terriera che lo allevava con cura nei propri castelli. Il vecchio mastino inglese è stato cantato da poeti e scrittori, e William Shakespeare (nel dramma Enrico V) fa dire a due ufficiali francesi, dopo la battaglia di Azincourt: «Questa isola inglese ha delle ben valorose creature, i suoi mastiff hanno un coraggio incomparabile». Coraggio, valore ed aggressività facevano dei mastiff cani da guerra altamente stimati, ed anche come guardiani essi erano contrassegnati da fedeltà ed incorruttibilità. I mastiff venivano altresì utilizzati nelle battute di caccia contro orsi e cinghiali; le loro potentissime mascelle, uno volta serrate, erano mortali. Ad ogni modo il compito primario del mastiff in ogni tempo è sempre stato la guardia e la protezione della casa e della corte. Ciò è ben spiegato da Giovanni Caius, dottore di fisica all’università di Cambridge (nonché medico personale di Elisabetta I), nel suo trattato «De canibus britannicis». Fra le molteplici funzioni per le quali il mastiff è famoso dai tempi dei romani fino al secolo scorso ve ne sono anche di poco nobili come combattere in spettacoli circensi contro orsi, tori, leopardi e leoni. Nel rinascimento il rapporto era di tre mastiff contro un orso e di quattro contro un leone. La regina Elisabetta I che, come suo padre, non aveva certo scrupoli morali, prediligeva tali “divertimenti”. Quando viaggiava attraverso le contrade inglesi si organizzavano in suo onore tornei fra mastiff e orsi. I mastiff erano infatti prediletti da Elisabetta I che ne teneva qualcuno anche in casa. L’ambasciatore di Elisabetta I in Francia, Lord Buckurst, possedeva un gigantesco mastiff che, raccontano, massacrò un orso, un leone ed un leopardo nell’arena. E’ certamente vero che in tutto ciò vi sono delle esagerazioni, però il fatto dimostra in quale conto fosse tenuto il gigantesco mastino inglese. E’ di quell’epoca il detto: «ciò che è il leone paragonato al gatto lo è il mastiff confrontato al leone». Anche i sovrani successori di Elisabetta I condivisero con lei la passione per il mastiff e per gli spettacoli cruenti che lo vedevano protagonista. In seguito il mastiff venne esaltato nelle favole, nelle ballate e nelle poesie inglesi e scozzesi come cane nazionale da guardia. Va precisato che allora i cani venivano selezionati più in relazione ai compiti che dovevano svolgere che non in base a canoni morfologici come facciamo ora. Quando si trattava di esaltare alcune caratteristiche utili venivano introdotte nel mastiff altre razze. Per esempio, al fine di incrementare la potenza alla presa, furono immessi costantemente il bulldog ed anche gli incroci bulldog-mastiff poi chiamati bullmastiff. Occasionalmente fu utilizzato anche il dogue de Bordeaux, che all’epoca era molto più simile al mastiff di quanto non sia oggi. Va ricordato, del resto, che anche il mastiff fu immesso ripetutamente nel dogue de Bordeaux, come il tipo a maschera nera può tuttora dimostrare. Per aumentare l’olfatto furono introdotti cani di tipo bloodhound e, per ingigantire la mole fu a più riprese inserito il sambernardo che allora si chiamava «mastino alpino». Anzi il rapporto mastiff-sambernardo, anche all’epoca delle esposizioni canine, fu costante. Da tali numerosi incroci scaturì una certa difformità di tipo come è dimostrato dalla copiosa iconografia che, dal medioevo in poi, ci è rimasta sul mastiff. Nel secolo scorso la razza cominciò ad essere allevata in purezza anche se, per rompere la consanguineità, veniva ancora usato saltuariamente il sangue delle succitate razze. Diversi pedigrees di quell’epoca hanno in alcuni punti dei vuoti proprio in rapporto all’introduzione di sangue estraneo. Il decennio 1870-80 fu uno dei più favorevoli per lo sviluppo della razza. Nel 1872, durante l’esposizione canina del Crystal Palace di Londra, furono presentati ben 81 mastiff. Nel 1833, nello stesso Crystal Palace, venne fondato il club di razza col nome di «Old English Mastiff Club» (che è uno dei più antichi club cinofili britannici). I primi soggetti da esposizione furono Turk, un cane ben costruito ma col muso lungo; Beaufort; Wolsey e soprattutto il grande Peter Piper, riprodotto in una litografia pubblicata in Francia nel 1897 che mostra un cane di straordinaria tipicità. Da quanto si è scritto su di lui risulta che fosse prognato e col muso molto corto, tuttavia la testa che vediamo nella litografia è di grande effetto per l’espressione e per il caratteristico corrugamento delle arcate sopraccigliari che ancora oggi fa testo. Nei primi del novecento la razza continuò ad affermarsi con alterne vicende e con un numero abbastanza rilevante di registrazioni al Kennel Club. Alcuni allevatori sostenevano la necessità di una testa corta e con un forte brachignatismo, altri erano per una testa sempre corta ma che si armonizzasse meglio con la figura. Il muso corrispondente al 33-34 per cento della lunghezza totale della testa era da considerarsi il migliore. L’espressione doveva essere nobile e solenne. La prima guerra mondiale colpì gravemente lo sviluppo della razza. Contro 60 registrazioni di cuccioli al Kennel Club nel 1913 e 54 nel 1914, nel 1918 se ne ebbero soltanto 3. La popolazione dei mastiff era stata decimata a causa della guerra. Ciò rese essenziale, fino al 1930, l’incrocio col bullmastiff. Questa razza, riconosciuta nel 1924, ma in fondo antica di centinaia d’anni, era nel primo dopoguerra ancora in fase di riconoscimento anche se i suoi rappresentanti, più piccolo dei giganteschi mastiff, avevano meglio sopportato le conseguenze del conflitto. Questo incrocio col bullmastiff, e parzialmente anche col sambernardo, si rese necessario per salvare la razza dall’estinzione. Esso fu tuttavia contestato da alcuni importanti allevatori inglesi, primo fra tutti dal signor Oliver, che era orgoglioso del proprio ceppo impostato sempre in purezza. Col suo affisso di Hellingly produsse tre stalloni che fecero la storia della razza agli inizi degli anni trenta. Essi erano Marcsman of Hellingly, Cardinal of Hellingly e, soprattutto, Joseph of Hellingly che divenne il patriarca di questo importante allevamento. Altri fondamentali elementi prodotti da Oliver furono King Baldur of Hellingly (un figlio di Joseph), poi King of Hellingly, Boadicea of Hellingly (dalla impeccabile costruzione), Lady Here of Hellingly, la bellissima Flora of Hellingly e Brian of Hellingly (questi ultimi due, figli di Joseph). Anche in quel periodo (allevamento Hellingly escluso) fu introdotto il bullmastiff il cui influsso fu poi parzialmente eliminato. Tuttavia i musi corti, riscontrabili tuttora in alcuni soggetti, dimostrano chiaramente che la presenza del bullmastiff nel vecchio mastino inglese si fa ancora sentire. Nei pedigrees degli anni venti compaiono, al posto del nome di un antenato, delle notazioni come: «non registrato», «sconosciuto», oppure «bullmastiff». Comunque sorsero in quel periodo allevamenti come il Withybush di miss Beh e l’Havengore della signora Scheerboom che furono, assieme al già citato Hellingly, le colonne portanti della razza. Cani famosi, oltre ai menzionati soggetti «of Hellingly», furono la bellissima Ch. Young Mary Bull che tuttavia risentiva dell’influsso bullmastiff e la Ch. Miss Bull. Dello stesso periodo sono Broomcourt Jem, allevato dal signor Bennet e di proprietà di miss Janthe Beh e il famoso Broomcourt Romeo, il quale mostra anch’esso, però, con la sua lieve convergenza, un certo retaggio bullmastiff. Ottimo soggetto degli anni venti fu pure la campionessa Stella Menai. Negli anni trenta e quaranta il mastiff conobbe un periodo di grande splendore con la produzione di cani eccezionali per tipicità e potenza. Mi sono sempre rimasti impressi i cani di Havengore, quali Addam e Sammy of Havengore, ma soprattutto il tigrato Drake of Havengore, che ritengo tuttora il più bel mastiff mai vissuto. Questo risultato fu ottenuto non sempre in maniera ortodossa perché vennero utilizzati sia i sambernardo che i bullmastiff. A proposito del sambernardo è interessante notare che i mastini inglesi a pelo lungo (che ogni tanto compaiono nelle cucciolate) derivano dall’introduzione di sangue sambernardo a pelo lungo. La testa del campione Christopher of Havengore mostra, nel profilo, le caratteristiche bozze frontali e la tipica convergenza dei sambernardo. A questa immissione di sangue estraneo si deve anche il mastiff cosiddetto «a pelo di vacca», che deriva dal sambernardo a pelo corto. E’ questo un pelo più lungo di quello classico del mastiff, ma che lo fa tuttavia classificare come pelo normale, anche se un po’ più lungo. L’allevamento di Hellingly, che aveva sempre selezionato in purezza, quando cessò l’attività disperse la sua stirpe che andò ad alimentare linee certamente non così incontaminate. Va precisato che i cani di Hellingly avevano una costruzione e un movimento eccezionali, ma le teste erano alquanto deboli, soprattutto nel muso, almeno secondo la tipologia che noi oggi desideriamo nel mastiff (cioè canna nasale ad 1/3 della lunghezza totale della testa e grande quadratura sia del muso che del cranio). Su questo tema mi scrisse nel 1963 un’interessante lettera l’allora segretaria del club inglese del mastiff Nora Dickin. Durante la seconda guerra mondiale la situazione della razza precipitò. Nella prima fase del conflitto erano stati inviati negli Usa e nel Canada alcuni mastiff per salvarli dai bombardamenti e dalla fame. Viceversa i cani rimasti in Inghilterra, causa la scarsità di cibo, non poterono essere nutriti. Durante la guerra vennero registrate al Kennet Club soltanto due cucciolate. Finita la guerra, di questi cuccioli solo una cagna fu in grado di procreare. Il suo nome era Sally di Coldblow. Accoppiata con maschi reimpostati dall’America, come si è visto produsse complessivamente 30 cuccioli che costituirono praticamente tutta la popolazione mastiff esistente in Inghilterra. Su basi così esigue, il più estremo embreeding non poté essere evitato: fratello con sorella, padre con figlia, figlio con madre. Questi accoppiamenti garantirono la sopravvivenza della razza, ma il prezzo fu pagato riducendo la spinta vitale, la fecondità, e aumentando le tare, soprattutto caratteriali. Anche nel secondo dopoguerra furono effettuati incroci col bullmastiff, col sambernardo e, pare, anche con l’alano e il mastino napoletano. Da quanto risultò negli anni successivi questi incroci non ebbero però un’influenza determinante e gli allevatori riuscirono ancora a produrre soggetti di eccezionale tipicità. Fra questi basti citare Jason of Copenore, un ottimo stallone non molto alto ma piuttosto pesante e dotato di eccezionale espressione e la sua allevatrice, signora Lindley, ebbe con me uno scambio di lettere abbastanza nutrito e molto m’insegnò sul vecchio mastino. Ottima anche una figlia di Jason, Cresta of Copenore che, coperta dal padre, diede buoni prodotti. Un vero campione fu pure Copenore Rab, di proprietà della signora Degerdon, che produsse la bellissima femmina Grangemoor Nell. Altro famoso cane fu Milf Murias, sempre della signora Degerdon, che diede inizio ad una serie di vincitori sia in Inghilterra che in America. Altri importanti allevamenti nel dopoguerra furono il Weatherhill del dottor Allison; il Perchwood della signora Hector; il Klsumu della signora Craigh, e poi il tuttora attivo Bulliff Kennel, ubicato nei dintorni di Oxford, dai signori Say. |